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Pasquale Torrente, dalle origini ad oggi

di Alessandra Meldolesi
Era il 1969 quando Gilda e Gaetano Torrente, detto Tanino, misero occhi e mani in quello che era un chiosco seicentesco abbandonato: ne ricavarono prima un circolo sportivo, poi una rosticceria, infine una rosticceria e pizzeria, dove presto iniziarono a servire qualche piatto di cucina. “E quando c’era la siccità riempivano le vasche per lavare i piatti dopo il servizio, loro che facevano i coperti veri. Da mandare in stage tutti i tre stelle”, ricorda con un pizzico di nostalgia il figlio Pasquale, che fra quei tavoli popolari è cresciuto, ma oggi è famoso come un celebrity chef. “Sono un autodidatta”, puntualizza. Anche se dopo gli insegnamenti della mamma, ci sono state le frequentazioni di fratelli chiamati Massimo Bottura, Pino Cuttaia, Gennaro Esposito. “E il mio grande maestro Enrico Cosentino, tanto che ogni tanto metto in carta gli scialatielli. Ma io mi sento più oste che cuoco, tanto che ormai sto traghettando al mio posto mio figlio Gaetano, classe 1990”.
Di bei colpi ne ha messi a segno, tuttavia: dal ripescaggio della colatura, tipicità di Cetara celebrata nelle liturgie codificate o reinterpretata creativamente come umami filosofale (vedi le cozze e trippe con sangue di Maria), alla messa a punto di un olio per friggere (e non banalmente di semi) con l’Università di Bologna, capace di trattenere il fumo fino ai 230 °C, facendo di chiunque uno chef friturier. Ma è il format soprattutto a centrare il bull’s eye: nell’aristocratica Costiera, un luogo dove il bello e il buono sono per tutti.
Ed è con questo spirito che nel 2007 ha aperto la Cuopperia del Convento e una serie di locali, da Firenze a Bologna, che poi ha lasciato per tornare come un marinaio a casa. Dopo il lockdown, sfruttato per collaborare alla task force sui protocolli di riapertura con Gennaro Esposito e far avanzare ricerca e sviluppo nella cucina di casa, la riapertura del Convento è caduta il 28 maggio con la squadra di sempre: Gaetano in cucina con il secondo Pasquale Gargiulo e Marco Sbailo, Pasquale nelle vesti di oste e in cantina. A distanziare i tavoli opere d’arte contemporanee: è stato l’artista cinese Liu Jianhua a firmare 24 colorate statue di migranti in cartapesta, con basamenti in ceramica vietrese e rose di Capodimonte, per un sentimento di vanitas quanto mai attuale. Mentre il cartello recitava: “Siamo un convento, ma non di clausura”. Il messaggio era “mantenersi a un metro dal mare”.
La cucina resta rassicurante, ispirata al chilometro buono più che al chilometro zero, vedi il burro di Normandia con le alici di Cetara, siciliane o calabresi. “Perché ci troviamo a un bivio fra età della pietra e nuovo Rinascimento: dipende tutto da noi e dalla nostra capacità di fare rete, non per prendere pesci, ma per stare insieme”. Restano i classici: gli spaghetti con la colatura, la genovese, le alici ripiene di provola o in polpetta. Ma non mancano le novità, la pizza anche a pranzo come i burger. “E stiamo alzando sempre più l’asticella, con pesci di pezzatura maggiore. Perché dopo la pandemia sentiamo una responsabilità ancora più forte verso la natura. Il mare ci sta restituendo meraviglie, perché le acque sono meno inquinate. Una decrescita, per quanto infelice. Ma dobbiamo dare il segnale che siamo noi, siamo tornati e vogliamo offrire il meglio. C’è un piatto che sta spaccando: la linguina con burro, alici e tartufo estivo, da abbinare con un vino della Costiera, di Raffaele Palma, Ettore Sammarco, Giuseppe Apicella o Tenuta San Francesco”.
La sosta è d’obbligo, fra una nuotata e una visita ai laboratori dove si producono la colatura e il limoncello. Mentre in paese sono da visitare la Torre Vicereale con l’esposizione permanente del maestro ceramista Ugo Marano, le chiese di San Pietro e San Francesco.
Foto tratta dalla sua pagina Facebook




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