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Ristorante Genziana, di Giancarlo Godio – Val d’Ultimo (BZ)

coperine-genzianaCorreva l’anno … e chi se lo ricorda! Sono passati diversi anni, tanti, viaggiavo all’epoca con una FIAT 127 bianca. Era la prima volta che salivo in val d’Ultimo. Lasciata Merano alle spalle con i suoi lussuosi alberghi, le terme, e le cliniche che ti rimettono in forma passando per Lana m’inoltrai in questa valle che come un guscio racchiude dei paesi con nomi di santi e dove i larici hanno anche 2000 anni. Queste magnificenze in una grigia giornata invernale avevano ben poco di romantico. L’obiettivo era il ristorante Genziana a Fontana Bianca lassù a quasi 2000 metri, proprio alla fine della valle, dove la strada si fa sempre più stretta tanto che due macchine non passano, con il fondo ghiacciato e senza le gomme termiche (all’epoca non sapevamo nemmeno cosa fossero) fu una mezza impresa! Ma benedetto Godio dove sei finito! Poi all’improvviso il laghetto artificiale, la strada che finisce, ero finalmente arrivato. L’aria era fredda anzi gelida, per fortuna era l’ora di pranzo e mi affrettai a entrare nel locale. Semplice come struttura fui l’unico ospite presente. Venne lui stesso a prendere la comanda. Non ricordo più ovviamente i piatti presi ma ho conservato un piacevole ricordo del pranzo servito. Che mi avesse inquadrato come un ispettore della guida non era difficile pensarlo, solo un pazzo finisce a Fontana Bianca in un giorno feriale a pranzare senza raccontare che era passato per caso in zona! Ci fu invece un dopo pasto. Venne al mio tavolo per scambiare due chiacchiere. Non ci guardavamo quasi in faccia ci accontentavamo di perderci con gli sguardi in quel paesaggio quasi lunare da inverni nordici con le tracce di neve un po’ ovunque. Fu come una confessione, la storia era quella dei tanti ragazzi dell’epoca che entravano a “far gavetta” nei ristoranti d’albergo, pentole da lavare e patate da pelare e calci nel sedere se non lo facevi bene! Ma poi arriva anche il momento di prenderla in mano la padella e di iniziare a cucinare. Lui lo fece con caparbietà tanto che a soli venticinque anni entrava nelle cucine dell’albergo Aquila nera a Ortisei come chef. Formò prima di rifugiarsi in val d’Ultimo anche dei ragazzi che divennero personaggi di spicco e che arrivarono all’eccellenza delle tre stelle. Mi raccontò un po’ tutta la sua vita ed io giovane ispettore affamato di conoscere questi personaggi lo ascoltai in religioso silenzio. Che strano personaggio mi dissi, lui piemontese di Gattico che a finire nell’ex mensa dell’Enel in località sperduta. La stella gli era arrivata da poco e in qualche modo era quasi incredulo di averla presa. Ci teneva, eccome se ci teneva anzi pensava anche di andare oltre. Mi raccontava dei personaggi che arrivavano lassù nel periodo estivo dei fini gourmet che lasciavano Merano per deliziarsi con la sua cucina tra questi anche il senatore Andreotti. E qui lui dava il massimo. Piatti che uscivano dallo standard regionale per intingersi nella tradizione piemontese. Mi prendeva in giro dicendomi che il suo torrone era senza ombra di dubbio migliore del mio cremonese… La cosa che mi affascinava nei suoi racconti era quella ricerca forse dell’anima. La cercava come i funghi nel bosco oltre Fontana Bianca che conosceva benissimo, ci andava come un cavaliere moderno con una moto da cross. Gli ospiti a volte li deliziava anche con selvaggina non so come arrivata alle sue cucina, roba da bracconieri, forse lo era anche lui, ma lo faceva per loro per i suoi ospiti e questo lo nobilitava. Lasciai la valle che era quasi buio ma felice di aver incontrato questo personaggio d’altri tempi! Certo che ci ritornai negli anni a seguire ma quella fu la volta che lui mi lasciò un ricordo da conservare. Poi quell’omino che gioca con le vite delle persone gira la carta ed esce la matta! Tutto gli va storto, problemi in famiglia proprio quando aveva deciso di fare sempre in valle una bella casa con il ristorante, perde anche la stella che lo segna e non poco, e poi quella maledetta domenica quando con alcuni amici rientrava su un piccolo aereo da una scorpacciata di pesce nell’ex Jugoslavia. La nebbia o le nuvole basse avevano ingannato il pilota e finirono la loro vita contro una montagna, quella che amava quella che gli aveva dato un’anima quel giorno se l’era ripresa. Giancarlo Godio ha lasciato un segno indelebile nella ristorazione dell’Alto Adige. Lo ricordano comunque ogni anno con un premio a lui dedicato. Se andate a fare una passeggiata lassù dove la valle finisce non troverete alcuna traccia del suo passaggio. Il locale è chiuso e solo un fiore di Genziana scolorito sulla facciata del locale vi ricorderà che qui la storia della ristorazione italiana ha avuto uno dei suoi personaggi più importanti.

Fausto Arrighi




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